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Signor Presidente dell’Assemblea, Signori Delegati,
Nell’avvicinarmi alla conclusione di questa giornata avverto la responsabilità di parlare da questo podio dopo ciò che è stato detto, in particolar modo dopo la rappresentazione che questa mattina il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha offerto a tutti noi.
Egli, nel tracciare un bilancio di questi otto anni della sua Presidenza e del rapporto con le Nazioni Unite, ha evidenziato come il quadro internazionale veda oggi una profonda divisione tra il mondo della paura e il mondo del coraggio; tra il mondo del risentimento e il mondo della speranza; tra la rabbia e il mondo della opportunità.
Si apre dunque una stagione nuova, una stagione ricca di opportunità, di possibilità ma anche di minacce inedite e di difficoltà che, fino a qualche tempo fa, sembravano probabilmente molto lontane; su tutte la minaccia del terrorismo nelle nostre città, nella quotidianità della vita di tutti i giorni. Il terrorismo non colpisce più soltanto gli obiettivi convenzionali ma colpisce la dimensione umana: un teatro, un ristorante, un museo, uno stadio. I rischi collegati alle pandemie, talvolta esagerati ma molto spesso rischi reali e profondi, i rischi legati all’ambiente a cui questa comunità di donne e uomini ha saputo dare una risposta; da questo podio, insieme ai colleghi, ho parlato, partecipando alla firma nell’aprile scorso dell’importante accordo di Parigi.
Ma anche i rischi legati ad altre vicende che comunque concorrono a fare del futuro un momento di preoccupazione più che di speranza. Da quelli legati alle calamità naturali e l’Italia, con ciò che è avvenuto ad Amatrice, Cumuli, Arquata qualche settimana fa ne è testimone, fino alle grandi questioni connesse alla migrazione e ai problemi che essa suscita nel cuore delle persone, agli interrogativi che essa suscita, alle difficoltà che essa propone.
Dunque, il futuro è diventato sempre più un luogo di cui dubitare, del quale aver paura. Eppure noi abbiamo la necessità di scegliere la strada della speranza, la strada della possibilità, la strada delle opportunità. I problemi infatti non sono problemi teorici che un consesso di esperti si trova a dover affrontare, ma hanno dei volt: il volto di Omran, il bambino siriano spaventato, impaurito, pieno di sangue, che guarda con i suoi occhioni non tanto un teleobiettivo di un fotografo ma il cuore di ciascuno di noi; hanno gli occhi di Nadia, la ragazza yazida che ho incontrato ieri, scappata alla violenza di Daesh, e oggi testimone coraggiosa di una battaglia in nome dei diritti umani, dei diritti della donne, della libertà.
Sono sfide e minacce che non hanno più confini. Sono nel cuore delle nostre città, talvolta delle periferie delle città europee che molto spesso hanno dimenticato il vero senso del rischio insito nei propri confini e non fuori da essi. Ogni riferimento a ciò che è avvenuto tra Parigi e Bruxelles è puramente voluto.
Mi sono dunque domandato, nel portare il saluto dell’Italia, quale possa essere la voce che viene da Roma su questi temi. E senz’altro sarebbe bello condividere con voi le parole di speranza e anche di orgoglio che caratterizzano i gesti concreti delle centinaia e migliaia di vite umane salvate dagli Italiani con un’uniforme, con la divisa della Marina Militare, della Guardia Costiera, che ogni giorno salvano nel Mediterraneo le vite umane altrimenti condannate alla disperazione.
Sarebbe bello portare a ciascuno di voi l’orgoglio e la voce degli italiani che operano nel settore della cultura, dell’educazione, della ricerca; degli italiani che, insieme ad altri europei, guidando la missione europea tra qualche settimana, vedranno per la prima volta una missione europea arrivare su Marte, il 19 ottobre, esattamente tra un mese; segno di ricerca che porta l’Europa ad essere non soltanto il luogo delle tecnocrazie e delle burocrazie ma il luogo del futuro. Eppure vorrei proporvi un’immagine diversa, se volete persino provocatoria. L’immagine che da Roma vorrei proporvi è quella di Enea. Enea è l’uomo del viaggio. La mitologia ha molti esempi di persone che si mettono in viaggio. C’è chi si mette in viaggio per ritornare a casa come fa Ulisse; e chi come Enea sceglie di viaggiare per creare una nuova città, una nuova civiltà. Enea si mette in viaggio portando sulle spalle il proprio padre malato. Segno di una generazione che non ha paura di prendersi la propria responsabilità e che ritiene l’esperienza delle persone più anziane comunque un valora irrinunciabile al punto da caricarsi il peso di qualcosa di più di una storia. Enea è l’uomo che assicura al figlio Ascanio la possibilità di continuare a vivere e fondare la grande storia di Roma. Ma Enea è l’uomo che, nel mito della fondazione, porta con se’ la pietas, il senso del rispetto profondo, il senso a metà tra il valore religioso e il senso profondo dell’identità culturale che rende una comunità degna di essere chiamata comunità. Senza pietas, senza attenzione agli altri, non c’è spazio per una comunità. Ed è per questo che a mio giudizio è fondamentale che si possa affrontare la sfida lanciata questa mattina da questo podio da Barack Obama con quel valore grande della pietas e della costruzione di comunità a cui fa riferimento il mito di Enea.
Ecco come l’Italia affronterà le sfide del 2017: partecipando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (un Consiglio che vedrà un nuovo Segretario Generale), condividendo questo impegno con l’Olanda, nella convinzione e nella assunzione di responsabilità che gli obiettivi del Millennio, che le sfide legate alla sostenibilità ambientale e tecnologica, che la costruzione di una comunità sempre più forte passa attraverso i valori che hanno fatto grande la nostra storia. L’Italia parteciperà nel 2017 alla vita comunitaria internazionale ospitando il 25 marzo i paesi che compongono l’Unione Europea per l’appuntamento dei 60 anni della firma dei Trattati – un appuntamento rilevante, grande – ma per fare dell’Europa non una rievocazione storica quanto un nuovo capitolo di un libro che va scritto con più ideali, più sogni, più orizzonte e con più visione; non soltanto un day-by-day stancante e ripetitivo regole e burocratiche scelte. L’Italia parteciperà guidando i lavori del G7 che si terranno in una cornice splendida – la cornice della Sicilia, terra di grande cultura e di grandi valori; la cornice del teatro di Taormina difronte all’Etna con il mar Mediterraneo che bagna questa straordinaria regione – mettendo al centro i temi propri dell’azione di cui abbiamo discusso fino a oggi: l’aumento dei denari per la cooperazione alla sviluppo, gli investimenti sull’educazione perché non possiamo dimenticare che se esiste un problema terrorismo proveniente dai teatri di guerra esiste anche un problema terrorismo proveniente dalle periferie abbandonate delle città, e l’unica arma per combattere questo terrorismo è un gigantesco investimento nell’educazione, nel capitale umano.
Siamo molto orgogliosi come Italia di aver approvato una legge, insieme ai rappresentanti del Parlamento, che dice che per ogni Euro investito in sicurezza, polizia, in cyber-technology e cyber-security, un Euro va investito in cultura, educazione, creazione di asili nido, di teatri, di luoghi dello spirito e dell’anima perché’ anche così si combatte la crisi del nostro tempo. E faremo del G7 un’occasione importante per riflettere sui valori identitari e culturali: dalla sfida del cibo inteso in un duplice senso come la lotta contro la povertà e le persone che muoiono di fame e dall’altro il valore della sicurezza alimentare e della consapevolezza sanitaria. Ma c’è contemporaneamente la convinzione che la sfida del Consiglio di Sicurezza, la sfida dell’Europa e la sfida del G7 hanno la stessa matrice, hanno lo stesso imprinting. Abbiamo il dovere come italiani di portare la nostra voce e il nostro contributo alle Nazioni Unite nella scelta e nella individuazione di valori antichi declinati in modo nuovo. La pietas di Enea diventa oggi l’occasione per costruire un mondo basato sulla speranza e non basato sul risentimento, l’odio, la rabbia. Il nostro popolo continua a lavorare con donne e uomini che servono gli ideali della pace; lo fanno le donne e gli uomini della diplomazia, della politica; lo fanno le donne e gli uomini che servono il nostro Paese attraverso un’uniforme in Afghanistan, in Somalia, proteggendo la diga di Mosul in un’area fondamentale per il futuro del nostro pianeta e contemporaneamente nell’area dei Balcani, in particolar modo in Serbia. Sono professionisti della sicurezza che hanno un elemento in più: l’umanità come elemento centrale. Queste donne e uomini che ci rendono fieri di appartenere alla storia italiana sanno che non veniamo da niente ma che veniamo da quella tradizione alla quale ho fatto riferimento e che trova nel Mar Mediterraneo l’espressione più alta. Il Mar Mediterraneo era il mare che i romani definivamo il ‘Mare Nostrum”. E’ il mare nel quale oggi centinaia e migliaia di persone cercano paradossalmente rifugio scappando dalla guerra, dalla fame, dalla povertà. Noi dovremmo farci carico sempre di più di quell’area del mondo.
Rispetto all’intervento dello scorso anno, possiamo segnare dei passi in avanti in Libia, ma ancora troppo poco ha fatto la comunità internazionale, in particolar modo l’Europa, per fare del Mediterraneo il luogo nel quale ci giocheremo la sfida della dignità perché, se non rimettiamo al centro i valori di umanità e di pietas in quell’area geografica, in quel fazzoletto, in quello spicchio di mondo, non saremo nelle condizioni di essere fedeli alla nostra tradizione. Ecco perché l’Italia accetta la sfida che il Presidente degli Stati Uniti ha oggi posto a quest’Assemblea, dicendo che staremo sempre dalla parte della democrazia, della libertà, dei valori, degli ideali, con la concretezza che deriva da chi ha un grande sogno, un grande orizzonte ma anche contemporaneamente ha il desiderio profondo di fare della politica un’attività nobile e concreta, intervenendo senza lasciare ad altri la responsabilità e assumendosi in toto il senso profondo di una sfida che noi dalle nostre parti chiamiamo umanità.
Buon lavoro a tutti noi.